La partenza
«Partii con mia madre e le mie sorelle da Grimaldi con l’auto di Pasquale Iacino per la stazione di Cosenza. Fatta poca strada, ricordo, mi misi a piangere. Non so bene il motivo, ma immagino che inconsciamente capivo che avrei abbandonato il mio paese. Avevo cinque anni». Inizia così il racconto di Giovanni Rocchetta. «Da Cosenza – prosegue – arrivammo alla stazione dei treni di Milano, per salire sul convoglio che ci portò in Belgio, a Liegi. Ad attenderci c’era mio padre che lavorava nelle miniere. Qui senza curarmi del cordone militare che divideva noi dai parenti, corsi incontro a lui contento di rivederlo. Era il 1953, ritornai in visita a Grimaldi sei anni dopo.
La nuova vita
Vivere in Belgio, a Cheratte, per me che ero un bambino non è stato difficile, non sentivo il peso dell’emigrazione come gli adulti, magari capitava di subire qualche “sfottò” ma nulla più. La cittadina dove vivo tuttora, è distante 100 km da Marcinelle, purtroppo famosa per la sciagura dell’8 agosto 1956, nella miniera, dove persero la vita tanti italiani. Le condizioni di lavoro – mi raccontava mio padre – erano disumane. Siccome lo scopo dei miei genitori era quello di fare soldi e tornare a casa, l’occasione si presentò loro nel 1983-84 quando una delle mie sorelle, Maria, aprì un negozio a Grimaldi: abitavano in via Monastero; prima di emigrare, casa nostra era in via Terra della Chiesa. Qualche anno dopo, però, fecero ritorno in Belgio».
Il racconto di Giovanni prosegue. «Qui, mi sono realizzato, ho sposato Helene Verbist, abbiamo tre figli, Teresa, Alfredo e Valeria ed ho fatto carriera nella fabbrica dove ho lavorato per ben 44 anni, raggiungendo le qualifiche di capo-reparto e capofabbrica. Nell’industria si costruivano molle, lame, orologi, armi». Giovanni ha una grande passione. «Da sempre amo il calcio – dichiara – e nonostante la mia piccola corporatura ho sempre fatto bella figura. In Belgio ho militato nei semi-professionisti, nel ruolo di ala destra. Mio figlio Alfredo è stato tesserato nelle giovanili dello Standard Liegi. Ho giocato a Grimaldi in estate nei tornei amatoriali, ed ero l’unico che riusciva a marcare Lello Notti».
Giovanni e la sua consorte sono cittadini del mondo, perché amano molto viaggiare, hanno girato in lungo e in largo l’Europa, ma non fanno mai mancare la loro presenza a Grimaldi. L’incontro con lui è avvenuto passeggiando nei vicoli; con la memoria Giovanni è andato a ritroso, ricordando i luoghi e le attività che allora erano ubicate in posti diversi rispetto ad oggi: la farmacia, il forno, l’asilo nido, la caserma dei Carabinieri e il Comune, questi ultimi avevano sede in piazza Giuseppe Amantea.
Prima di congedarci da Giovanni, gli chiediamo cosa lo spinga, quasi ogni anno, a ritornare. La domanda, all’apparenza banale, crea un attimo di emozione in lui. «È difficile da spiegare – afferma – non si può capire cosa si prova ad essere lontani: c’è un groppo in gola e una spina nel cuore».
Piero Carbone